ZORRO

Il primo giorno di sole dopo settimane di pioggia, mi recai da Felice il meccanico. Ci salutammo con affetto. Eravamo tutti e due di buonumore.
Chino sul motore della mia auto, Felice armeggiava per ripararla, io guardavo il calendario appeso alla parete. A giugno era toccato la fotografia di una donna con due enormi seni che abbracciava un volante.
«Sai, da bambino ho visto Zorro?» esordì Felice mentre chiudeva il cofano dell’auto. Accennai un sorriso. Compiaciuto, credo, non so perché.
«Ero convinto che tuo nonno fosse Zorro. Ci somigliava parecchio: i capelli con la brillantina, i baffi sottili, gli occhi sorridenti. Andavo spesso ad aggiustare la bicicletta da lui. A volte la rompevo di proposito. Le urla di mia madre le tengo ancora nelle orecchie».
Arrossì, forse per la vergogna d’aver condiviso quell’infantile ingenuità. Poi abbassò e scosse il capo più volte. Dalla tasca della tuta blu prese uno straccio col quale si pulì le mani sporche di grasso.
Credeva che mio nonno tra le biciclette accatastate una accanto all’altra, tra camere d’aria e copertoni, nascondesse il mantello, il cappello e la spada di Zorro. L’emozione provata allora di vedere dal vivo il suo eroe lui se la ricordava ancora. Felice parlava piano, io fissavo le sue mani, ruvide e grosse proprio come quelle di mio nonno. Poi alzò la testa e per un attimo gli occhi di quel bambino ormai invecchiato incrociarono i miei.
«Anche io credevo che mio nonno fosse Zorro» gli dissi deciso a tornare bambino anche io.

(Racconto di 1498 battute spazi inclusi)

©MimmaRapicano_luglio2021

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