IL CONSULTO

Una mattina, del tutto inaspettatamente, Concetta Malinconico si sveglia con un brivido che dalle vertebre cervicali scivola, tremolante ed elettrico, lungo la colonna vertebrale, le arriva al coccige e lì si fa bruciore intenso, pochi istanti poi sparisce. «Sarà stato il gelo di questa notte» le dice la nonna. 
Il fatiscente appartamento dove abitano le due donne è pieno di spifferi e macchie d’umidità sul soffitto. La ragazza vive con nonna Antonietta da quando i suoi genitori sono avanzi di memoria custoditi in una cornice d’argento annerita che la vecchia tiene sul comò della camera da letto. 

Anche la mattina del brivido inaspettato Concetta si prepara per andare al lavoro. Prima di uscire dà un bacio sulla guancia della nonna e in cambio riceve le solite raccomandazioni come se fosse ancora una ragazzina che s’allontana da casa per la prima volta. “Mia nipote fa la segretaria da un notaio, uno importante” ripete spesso Antonietta alle vicine. Invece non sa che in quello studio notarile la nipote sistema l’archivio, porta i documenti da una stanza all’altra e all’occorrenza pulisce i due bagni molto frequentati dagli impiegati. Ed è soltanto per evitarle un dispiacere che Concetta non le ha detto la verità. Dal canto suo, anche nonna Antonietta tiene per sé alcuni fatti insoliti che la nipote, ne è certa, non capirebbe.

Come tutte le mattine, anche la mattina del brivido inaspettato Concetta si ferma nel bar sotto casa per un caffè, un’abitudine ereditata dal nonno. Il bar, gestito da Oreste e da sua moglie Sisina, ha un’aria triste, non è alla moda come altri del centro storico ma un confortevole e familiare ritrovo per la gente del quartiere. 
Oreste è un tipo taciturno, alto e magrissimo. Se lo si osserva di profilo il suo corpo ha la forma di una S mentre la moglie Sisina, chiacchierona e pettegola, da qualsiasi lato la si guardi è una sfera perfetta, una gigantesca lettera O con la messa in piega. 
Quando ogni mattina Concetta entra nel bar è accolta da saluti affettuosi e grandi sorrisi, anche se lei non è espansiva e affabile come lo era suo nonno. Saluta con cortesia, BuongiornoArrivederci, niente di più. 
«Sei una ragazza asociale, tale e quale alla buon’anima di tuo padre, chiuso e riservato».
«Nonna, io non l’ho granché frequentato, mio padre». 
«Non fa niente, – ribatte Antonietta, – questo è un fatto di sangue».

Però, la mattina del brivido inaspettato, all’ingresso di Concetta nel bar tutti si voltano a guardarla. Niente sorrisi o saluti affettuosi. Salvatore il meccanico dà una gomitata ad Alfredo il tabaccaio che sta sorseggiando un cappuccino, due anziani a un tavolino sospendono la partita a carte, Sisina e una signora smettono di parlare, il professore Carafa abbassa il quotidiano e si sistema gli occhiali sul naso. Sorpresa per l’improvvisa curiosità nei suoi confronti, la ragazza, con voce incerta e occhi bassi, chiede il solito caffè. Quando Oreste poggia la tazzina sul bancone, il brivido ritorna. Lei beve in fretta, è spaventata da tutti quegli sguardi, ma la tazzina e il caffè sono bollenti, si scotta la lingua e le labbra. Un cagnolino dal pelo nero abbaia alle sue spalle, saltella per afferrarle un braccio. Oreste schiocca le dita e l’animale sparisce dietro al bancone. Concetta paga, ringrazia e va via. Nessuno le risponde.

In strada le cose peggiorano. Inizia a sudare mentre il brivido le attraversa il corpo come una scarica elettrica. Concetta è disorientata, pensa che non può andare al lavoro in quelle condizioni. Sarebbe la prima volta, pensa, lei che a lavorare ci è andata anche con la febbre. Ma questa mattina è diverso, ripete tra sé.  
A casa ci arriva con la paura fin nelle ossa e il cuore in gola. Racconta l’accaduto alla nonna che non sembra affatto sorpresa del suo ritorno. 
«Non ci pensare, ti faccio una doppia camomilla e tutto passa». Per nonna Antonietta la camomilla è la cura ad ogni male, una bevanda miracolosa quasi più dell’acqua santa. 

Seduta in cucina Concetta beve la camomilla a piccoli sorsi per non scottarsi di nuovo. La nonna dall’altro lato del tavolo sbuccia delle patate. La paura non passa, la camomilla miracolosa non dà alcun beneficio alla povera Concetta. Disperata, chiede alla nonna cos’ha lei di diverso. Antonietta neanche alza la testa, intenta com’è a ridurre la polpa gialla del tubero in piccoli tocchetti tutti uguali. Allora la ragazza va in bagno per guardarsi allo specchio. La sua faccia è la solita faccia, né bella né brutta, anonima e malaticcia dal colore indefinito. L’avvicina ancora di più al riflesso dello specchio in cerca di un’ombra, di un che di spaventevole. La vecchia l’ha seguita. Negli occhi di Concetta lo sgomento si mescola alle lacrime. Abbondanti.
«Rosina, – bisbiglia Antonietta. – Sì, qui ci vuole Rosina di vico Pallonetto. Quella ti leva il brivido e la paura».
«Nonna, tu non capisci. È che su questa faccia ci sta qualcosa… lo vedi?». 
«Te lo ripeto, soltanto Rosina può cambiare le cose».
«Nonna, qui nessuno può cambiare le cose».
«Ah, piccerè! Tu certi fatti non li puoi sapere. Tieni ’a capa tosta e sciacqua come la buon’anima di tuo nonno. Non vuoi venire da Rosina? Allora tieniti il brivido, la paura e tutto il resto. Rosina, – dice abbassando la voce come se qualcuno potesse sentirla – è una certezza. Come la camomilla».
Concetta ha un conato e nel lavandino vomita soltanto acido gastrico di colore verde e quel po’ di camomilla che aveva bevuto. La nonna le regge la fronte. 
«Come ti senti? Hai visto, un poco l’hai cacciata la paura che tieni in corpo, però non basta. Tutta deve uscire, tutta, altrimenti…» la voce della nonna è dolce e rassicurante. Concetta si pulisce la bocca con il rovescio della mano.
«Fidati di me» dice nonna Antonietta accarezzandole il viso.

Il palazzo in vico Pallonetto non ha un portone e non c’è il citofono. Le due donne salgono per scale ripide e strette. Al secondo piano Concetta affanna, la nonna no. Si fermano davanti a una porta di legno scuro. Nonna Antonietta fa un gesto con la mano come a dire stai a vedere. Poco dopo, Rosina apre la porta. È una donna piccola di statura, con il viso tondo e pallido come la luna. Scruta le donne sul pianerottolo poi con un cenno del capo le invita ad entrare e a seguirla.
Varcata la soglia dell’appartamento Concetta avverte un tanfo acido, un misto di sporcizia e aria viziata. Attraversano un lungo corridoio simile a un tunnel scavato nella roccia e arrivano in un’ampia camera con un tavolo ovale e sei sedie rivestire di velluto amaranto. Pochi mobili malconci, alle pareti una carta da parati con fiori verdi e arancio a tratti strappata. 
Rosina indica loro due sedie poi silenziosamente sparisce in un’altra stanza. La nonna si siede, Concetta è irrequieta e resta in piedi. S’avvicina all’unica finestra per respirare un po’ d’aria fresca, prova ad aprirla ma non ci riesce.
«Nonna, – le sussurra all’orecchio, – mi sento molto meglio. La camomilla ha fatto effetto. Torniamo a casa».
 «No, adesso tocca a noi» le risponde seccata la vecchia. Concetta ammutolisce e la segue senza protestare. 

Al centro della stanza del consulto dove le attendeva Rosina c’è soltanto una sedia illuminata da un cono di luce che filtra da un buco nel soffitto. Rosina prende Concetta per un braccio e la spinge sulla sedia. Con il pollice della mano destra le fa il segno della croce sulla fronte e sulla bocca. Il brivido, tremolante ed elettrico, ricompare questa volta con fitte lancinanti che quasi le bloccano il respiro. La donna con il viso tondo e pallido come la luna le mette una mano sulla testa e inizia a girarle intorno recitando una litania di parole incomprensibili. La ragazza tenta di alzarsi ma una forza misteriosa la trattiene. Nell’oscurità cerca aiuto e conforto nel viso familiare della nonna. Non lo trova. Rosina, intanto, continua a girarle intorno con passo svelto, sempre più svelto. Ora l’aria profuma di fiori d’arancio. Concetta si abbandona a un abbraccio senza braccia. La voce della donna echeggia nella stanza vuota. La sua antica litania diventa finalmente comprensibile: “Cu ‘a vecchia arzilla e putente / Che ‘a mano ha cunsacrata / ‘A paura assaje fetente / D’‘a figliola è alluntanata”.
Concetta scoppia a ridere di una risata incontrollabile, imprecisa. Niente più la trattiene. Leggera e senza alcun peso vola fino a toccare il buco nel soffitto e poi ricade giù e poi di nuovo su. Il cono di luce lentamente si stringe fino a inghiottire ogni cosa visibile e invisibile. Buio sulle mani di Rosina, buio sulla faccia dello spirito dolente di Concetta. 

Poco dopo, lei e sua nonna Antonietta attraversano i vicoli del centro storico nello stesso gelido pomeriggio invernale. Camminano senza fretta, una al fianco dell’altra imbacuccate in pesanti cappotti per difendersi dal freddo. Sulla via di casa incontrano pochi e distratti passanti. Sotto l’uscio del bar più triste della città Oreste fuma a grandi boccate. Soffici nuvole di cerchi concentrici si fermano a mezz’aria. Concetta si volta e lo guarda con indifferenza, l’uomo le sorride e accenna un saluto. Accucciato ai suoi piedi il cane dal pelo nero scodinzola, alza svogliatamente un orecchio, poi lo abbassa. Non abbaia. La mattina dopo, nulla di inaspettato accade nella banale inesistenza di Concetta Malinconico.

[Racconto pubblicato sulla rivista SALMACE, 28 luglio 2021]


In copertina: Portrait of Violette Heymann (1910) by Odilon Redon

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