Una domenica a caso leggendo A CASO di Tommaso Landolfi

“Sembra proprio che dobbiamo contentarci di gioie ambigue, torte e per giunta fuggevoli” (Tommaso Landolfi, Un petto di donna)

 A caso è la raccolta di racconti che nel 1975 valse a Tommaso Landolfi il Premio Strega. Tredici racconti perturbanti che si insinuano nella mente del lettore e come piccoli vermi si nutrono di ogni suo principio morale. Landolfi scrive un’opera cupa e scalpitante – come ben sanno i suoi affezionati lettori –, pare aver divorato l’intera umanità per poi restituircela svuotata con sembianze di ignobili fantocci che non cercano consolazione ma un modo per abdicare all’esistenza.

E lo scrittore non teme censure quando descrive (come già in altri suoi scritti) gli ambigui appetitidi un uomo maturo per il corpo e la bocca di una giovinetta di dodici in tredici anni.

“[…] Ma che fanciulla, mio Dio! Superna, e come tale indescrivibile; salvo che alcuni particolari della sua straordinaria e misteriosa bellezza acconsentivano, se così si può dire, a spicciolarsi, e in altri termini risultavano percettibili alla prima. Per esempio i fianchi aguzzi, il casco di capelli lisci d’un pallido castano, netto come un cappuccino, gli occhi grandi e lontani… Il resto, i delicatissimi attributi della femminilità nascente, si perdeva o confluiva come in una insondabile visione […]”. (Tommaso Landolfi, A caso)

Lo stesso uomo, un tal Mario, che in un surreale colloquio con il suo alter ego discorre sull’omicidio come supremo oltraggio a Dio. E i due sciagurati combinano d’uccidere, senza alcun movente, il primo che si vede per placare la noia. E il primo essere che il tal Mario incontra è un bambino. Mario tentenna, ha dei dubbi, ma la voce lo incalza, sollecita e solletica il suo appetito mortale. Immediato è il confronto con il tal Raskòlnikov, che in Delitto e Castigo di Dostoevskij fa del delitto la suprema arma di giustizia sociale.

Storie impenetrabili, misteriose, in cui i desideri corporali s’impigliano nello spasmodico desiderio di morte. Oh, la morte, la farsesca onnipresenza evocata da taluni e temuta da talaltri. Landolfi eccede e ne è cosciente, mostra la sua potenza, sa che le azioni e i pensieri più mostruosi e spregevoli fanno parte di noi, esseri umani destinati prima o poi all’estinzione.

E se invece di attenderla l’estinzione l’uomo la provocasse?

“Alla fine si lasciarono…ossia ci lasciammo convincere a mozzarci l’inutile appendice: quell’impotente era un formidabile loico, oltre che un uomo affascinante; e ci convinse, dico, di ciò di cui eravamo convinti. […].
Che adesso, figliuolo! Non sei felice di vivere sapendo che non v’è conseguenza, che con te finirà l’intera maledetta schiatta degli uomini? Pensa: adesso sì possiamo essere liberi e felici, sapendo che un giorno o l’altro (presto, presto) tutta questa abominosa storia finirà, finirà pure, a marcio dispetto di Lui lassù, del Tiranno, del Massacratore! In breve, non c’è più un domani: che consolante certezza. […]” 
(Tommaso Landolfi, Volpi scodate)

Eppure, per quanto l’uomo di Volpi scodatesa d’essere impotente ed esulta per avere evitato il perpetuare della razza umana, altri suoi simili, invece, continuano a vivere nel virile ricordo di sé stessi, sognando di figliare anche se ciò significherebbe mettere al mondo degli infelici, dei traditori e dei potenziali assassini.

E ancora, in Osteria del numero venti, una donna bellissima, dal corpo perfetto si prepara per concedersi al suo amante. Ma la sua vagina dai minuti dentinimorde e fa sanguinare il membro dell’amato appena tenta di penetrarla. È forse questa l’orrenda metafora di chi s’affanna per raggiungere un piacere che non gli sarà mai concesso? Desiderare il desiderio come oggetto di un’altra dimensione, starnazzare per non riaversi mai più?

“Càlmati, amore… Oh che delizia: di sotto a codesti labbruzzi di corallo spunta una fila di nitidi, di brillanti e minuti dentini… Oh che ingrato, sono: codesto è il più prezioso dei tuoi vezzi” (Tommaso Landolfi, Osteria del numero venti)

Il racconto Petto di donna s’apre lieve sull’immagine di un uomo gentile che viene colto dall’innocente desiderio di baciare il seno della sconosciuta che gli cammina accanto. Quel desiderio alla fine s’avvera ma nasconde una mostruosa verità.

“Una mammella: ma era una mammella di donna il qualcosa che, nudo ed abbietto, abbiettamente nudo, nudamente abbietto, mi stava davanti nella luce dorata? Al contrario, turpi grinze segnavano, verso la punta, quella pallida carne bensì rigonfia ma come per morbo; e smorta, malata, appariva l’areola che in petto davvero femminile ha vivezza di gengiva, qui perfino contornata da lunghi peli neri; e per ultimo orrore, per ultima ignominia, nel lungo capezzolo (supremo vanto) era una sorta di buio e flaccido fesso, simile a bocca di vecchio sdentato”. (Tommaso Landolfi, Petto di donna)

Ed ecco a voi, lettori sdentati, Tommaso Landolfi che fa delle sue ossessioni dei superbi racconti per nulla a caso. Storie grottesche e rapprese, dai personaggi vividi e ormai immortali pedine sulla grande scacchiera della nostra letteratura.

Tommaso Landolfi, A CASO, Adelphi, Milano 2018

©MimmaRapicano2020

(articolo pubblicato il 19 ottobre 2019 sul blog Formicaleone)