L’ATTACCAPANNI

La nuova casa, grande e luminosa, accolse i giovani sposi e tutto il loro entusiasmo. Lei, avvolta in lunghe sciarpe di lana, gli descriveva le tele che avrebbe dipinto, una babele di colori proprio come il suo inesauribile ottimismo. Lui, invece, desiderava soltanto una stanza tutta per sé, riempirla di libri e trovare un posto per la sua collezione di cappelli. In quella stanza, diceva, avrebbe finalmente definito il suo futuro. Ma gli anni passarono e i sogni e i desideri appassirono come promesse disattese.
Due giorni prima di quell’ultimo Natale, lei decise di svuotare l’armadio dagli abiti che non indossavano più e di buttare via tutti gli oggetti superflui o pigramente abbandonati nei vari angoli della casa. Cercava di fare un po’ d’ordine nell’appartamento. Cercava un ordine perfetto ma non lo trovò. Lui, come sempre, se ne stava seduto in salotto, leggeva e accavallava le gambe ripetutamente. Ogni tanto alzava gli occhi dal suo libro e guardava senza interesse i nervosi spostamenti di sua moglie da una parte all’altra della casa.
Nel corridoio lei si fermò davanti all’attaccapanni, agitava le braccia e faceva un passo indietro poi uno in avanti.
«L’attaccapanni va eliminato, non ci serve!» disse a voce alta.
«Cos’hai contro quell’oggetto?» le chiese il marito.
«Quest’albero morto ci ruba l’aria, i suoi rami sono insolenti. È spoglio, com’è spoglia la nostra vita» replicò lei.
«Dove metterò il cappotto e il cappello?»
Lei si voltò stizzita verso il marito fissando non tanto i suoi occhi ma le sue gambe. Non gli rispose. Andò in cucina e ritornò nel corridoio con un seghetto. Adagiò l’attaccapanni sul pavimento e iniziò a segare.
«Sono anni che non esci da casa, leggi tutto il giorno, dici che il mondo è il bordello delle anime grasse e che se vai lì fuori ti scoppieranno i timpani per il rumore e le viscere ti si rivolteranno per tutto lo schifo che potresti vedere. Potresti, appunto. I tuoi cappotti e i cappelli li ho dati via molto tempo fa e nemmeno te ne sei accorto», disse lei mentre i piccoli denti della lama cominciavano a mangiare il legno tenero dell’attaccapanni.
Lui da lontano la osservava, china su quell’oggetto indifeso, e immaginava il povero attaccapanni dimenarsi e chiedere aiuto, implorare il perdono per una colpa che sapeva di non aver commesso. Accennò un sorriso, si passo una mano tra i capelli per cancellare quel buffo pensiero. Posò il libro sulle gambe e lo sguardo si perse oltre i vetri del balcone. Le cime degli alberi si lasciavano cullare dal vento e quel piacevole dondolio era l’immagine perfetta della sua nostalgia.
Si voltò verso la moglie e con tono conciliante le disse: «Cara, a me sembra un po’ bizzarra la tua improvvisa voglia di liberare la casa dagli oggetti che, in fondo, sono parte della nostra storia. Qui abbiamo tanto spazio per me e per te. Stai cercando di dare un ordine a cose che per loro natura un ordine non lo chiedono. Ci sono oggetti che vanno utilizzati, hanno una funzione precisa e noi dobbiamo servirci di quella funzione, tutto qui».
Ma quel giorno lei non voleva saperne di discorsi concilianti e filosofici.
«L’attaccapanni vuoto è il nostro fallimento, lui ride di noi. Io lo sento, sai? Ma… ma tu non capisci, non puoi capire perché alcune verità non sono scritte nei tuoi libri.» disse lei con un po’ d’affanno procuratole dallo sforzo. Poi continuò: «Lì le storie sono invenzioni, simulacri di un mondo falso e di pura fantasia mentre la realtà, mio caro, la realtà spesso ci mette in un angolo e ci prende a calci in culo. La vita stessa è simulazione e attesa. La vita vuole essere riempita proprio come quest’albero senza radici, e noi qui, mio caro, non stiamo riempiendo un bel nulla» replicò lei con un tono per nulla conciliante.
Dopo aver ridotto l’attaccapanni in tanti piccoli pezzi, li raccolse in un grande sacco nero e si avviò nella stanza da letto. Forse anche lì avrebbe trovato altri oggetti da far sparire per sempre dalla loro vita.
La casa era muta e una flebile luce invernale entrava dai balconi e riscaldava ogni stanza. Poi si udì un tonfo e una nuvola di polvere invase il salotto. Lui immobile continuò a leggere e ad accavallare le gambe. Ripetutamente.

©MimmaRapicano-febbraio2017

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *