ZONA DI TRANSITO

Il giorno dura sempre di meno e il felice matrimonio estivo tra il sole, la luce e gli esseri umani sta per finire. Addio ai romantici tramonti, addio alle notti stellate e alle lunghe passeggiate sulla battigia. L’estate si spegne lentamente con grande dolore di chi si sente il figlio prescelto della bella stagione. In estate tutti sono alla ricerca della vacanza perfetta, le città sono invase da turisti chiassosi e improvvisati critici d’arte, comitive senza età migrano di spiaggia in spiaggia con corpi sconci e una felicità spicciola. Tutto questo fracasso estivo è solamente un’illusione per rendere più sopportabile la misera condizione degli esseri umani. Ma io sono strana, me lo ha detto anche il postino l’altro giorno perché mi sono rifiutata di accettare una lettera indirizzata alla mia vicina. Sono strana e trasandata da far paura e secca come uno scopettino, così dice mia madre ogni volta che passa a trovarmi. Le parole più cattive nella vita le ho sentite dire da quella donna, cose che una figlia non si aspetta certo da una madre ma io oramai non ci faccio più caso. Forse avrò sviluppato una specie di antidoto contro gli insulti e gli “amorevoli” sbeffeggiamenti che mi arrivavano da lei.
Per fortuna le sue visite sono brevi: «Il tempo di un caffè – dice, – e vado via». Arriva il lunedì mattina con una borsa frigo piena di contenitori di plastica ben impilati uno sull’altro. E in quei contenitori c’è cibo sufficiente per sfamarmi un’intera settimana. «Sei troppo secca – mi ripete ogni volta, – i tuoi capelli sono sfibrati e il tuo colorito è da malato terminale. Se non fai qualcosa gli uomini non ti sfioreranno neanche con lo sguardo». Ecco, è questo il tono dei suoi materni consigli. Ho anche pensato che quella donna non fosse mia madre anche se la somiglianza tra noi è impressionante e quando qualcuno glielo fa notare, lei ne è così terrorizzata che una volta le ho sentito dire che non ero sua figlia ma una lontana parente. Per fortuna in questa vita ho avuto una sola madre e lei una sola figlia.
Settembre è arrivato con tutta la sua sfrontata insolenza e se da un lato è il mese della tristezza, degli addii e dei ricordi, dall’altro è il mese delle aspettative, degli slogan motivazionali: “SI RICOMINCIA ALLA GRANDE!”, “FALLO ORA OPPURE MAI PIÙ!”. A settembre arrivano le offerte speciali, i nuovi programmi televisivi, nelle vetrine i manichini vestono lana e cappotti. E tutti si impegnano in nuovi progetti per non cadere in depressione perché il ritorno nelle città-prigione li catapulta da un giorno all’altro nella stessa identica realtà che avevano lasciato prima delle vacanze. Si ritrovano circondati dall’anarchia e in strade sporche e insane. Credevano di sfuggire al caos cittadino e di dimenticare gli uffici maleodoranti, la sofferenza e l’insoddisfazione invece, come in un’insensata transumanza, hanno viaggiato da un caos all’altro. Le spiagge dove hanno adagiato i candidi corpi erano così affollate da sembrare ingorghi di metropoli impazzite e le stazioni e gli aeroporti pieni zeppi come giganteschi formicai.
L’estate mi scorre accanto indifferente e settembre per me è solamente il nono mese dell’anno. Io non vivo di illusioni quindi conduco un’esistenza piatta e rassicurante nonostante sia brutta e secca da far paura.
Settembre, per gli illusi, è una zona di transito da attraversare preferibilmente di corsa e possibilmente senza lasciarci le penne.
Io li osservo, fieri e contenti con la pelle color caffè, sfoggiare sorrisi mentre passeggiano per le strade ancora in ciabatte e in abiti leggeri perché proprio non riescono a separarsene, camminano disinvolti e cercano riparo nei bar all’aperto per raccontare a qualcuno la loro bella vacanza. Io li osservo e me li immagino tra qualche settimana già pallidi, arrabbiati e sfatti.
Nella zona di transito non ci sono speranze ma solo miraggi e vecchi progetti dal sapore stantio. Solo l’inverno, con il suo bel carattere e il freddo, la pioggia e a volte la neve, li riporterà alla realtà delle cose anche se, irrequieti come sono, progetteranno già un viaggio da fare a Natale o a Capodanno.
Nella mia vita non ho mai fatto progetti, non ho mai avuto desideri, forse perché, guardandomi allo specchio, sapevo che una come me di progetti e desideri non poteva averne. Mi sono semplicemente limitata a occupare il mio posto nel mondo senza dar fastidio al prossimo, strisciando lungo i muri come un insetto per non mostrarmi, per essere invisibile e cieca e sorda. E a volte, credetemi, non vedere e non sentire è stata la mia salvezza. A me piace tanto starmene affacciata alla finestra di questa minuscola casa, al quinto piano di un palazzo senza ascensore, e osservare il mondo dall’alto. Per me non esistono stagioni, tutti i mesi dell’anno sono uguali tranne per il colore e l’intensità della luce. Il mio unico contatto con l’esterno è quella donna che si dice mia madre ed è già tanto da sopportare.
Settembre è qui, vestito da giovane sposo, fiacco ancor prima di iniziare i suoi giorni. I primi temporali spazzano via i ricordi, l’aria è frizzante e i precoci tramonti cedono il passo al lungo inverno.
Sul mio davanzale ho messo un cuscino, ci appoggio i gomiti per stare più comoda mentre le ore passano lente e la bella stagione è pronta a morire.
Tanto poi lunedì arriva lei con i suoi contenitori di plastica ben impilati uno sull’altro.

©MimmaRapicano-settembre2017

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