LA FELICITÀ È UN’ISOLA

Lo annunciò il giorno del suo sessantesimo compleanno al brindisi finale dopo la torta e prima dei balli: «Tra due mesi mi ritiro dagli affari, lascio ai miei figli e ai due soci la guida dell’azienda». Sul volto di Arturo Lupìca si fissò un ghigno malizioso mentre osservava divertito lo sgomento e l’incredulità degli amici, dei parenti e di molti dipendenti dell’azienda. Il silenzio congelò ogni cosa nella grande sala dei ricevimenti, le braccia degli invitati restarono alzate e i calici di cristallo nelle loro mani ondeggiarono come piccole barche nel mare in tempesta. «Sono certo che l’azienda, anche senza di me, andrà a gonfie vele. Io, invece, partirò per la mia isola della felicità e nessuno, tranne il mio avvocato, saprà dove andrò», continuò Arturo.

Due donne, visibilmente scosse, corsero fuori dalla sala. La moglie di Arturo Lupìca, svogliatamente seduta al suo fianco, ascoltò lo strano discorso del marito e con lo sguardo seguì sconcertata la fuga improvvisa delle donne. Sapeva già da tempo delle amanti del marito ma non ci aveva mai dato molto peso eppure, in quel momento, provò un tremendo imbarazzo. La sfrontatezza di quelle due stupide donnette faceva diventare stupida anche lei, e questo proprio non riusciva a tollerarlo.

Arturo bevve tutto d’un fiato il pregiato spumante, fece un cenno all’orchestrina in un angolo della grande sala e dichiarò aperte le danze.

Le braccia degli invitati si abbassarono come vele ammainate e avvicinarono i calici di cristallo alle labbra per dissetarsi con l’ottimo spumante. Il chiacchiericcio e le risate portarono il buon umore e si fecero brindisi in onore di Arturo: Cin-cin, lunga vita a te!

Tutti erano certi che quell’annuncio fosse un grande bluff, conoscevano il carattere gioioso e burlone di Arturo ed erano sicuri che anche questa volta si trattasse di un colossale scherzo. La festa si ravvivò di corpi che si muovevano goffamente su ritmi incalzanti e sincopate melodie. Fu la più grandiosa e sfarzosa festa di compleanno a cui avessero mai partecipato in vita loro e durò fino a notte fonda.

Nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi ad Arturo Lupìca per chiedergli spiegazioni, qualcuno da lontano gli lanciava addirittura sorrisini e sguardi di approvazione per lo scherzo ben riuscito. Eppure era tutto vero. Arturo a quella partenza si era preparato da molto tempo, aveva pianificato e organizzato ogni cosa fin nei minimi dettagli.

Arturo viaggiava spesso per lavoro e nessuno, nemmeno la moglie, poteva immaginare che in quelle lunghe assenze da casa lui stesse girando il mondo per cercare la sua isola della felicità. In quei viaggi si sentiva un uomo diverso, un piccolo eroe coraggioso, un bambino felice. Arturo era stanco di aspettare, aveva fretta, aveva una promessa da mantenere e decise di partire anche se lui l’isola, la sua isola della felicità, in effetti non l’aveva ancora trovata. Le notti erano diventate lunghe ed estenuanti, non riusciva più a dormire. Nel buio della stanza tutto ciò che immaginava diventava reale: una notte era disteso al sole, un’altra avvertiva come una carezza il soffio della brezza marina, in un’altra il suo corpo era cullato dal piacevole e perpetuo ondeggiare del mare. Sognava ad occhi aperti Arturo, sognava quell’isola dove finalmente avrebbe dimenticato la vecchia vita, quella in cui si era sentito costretto dalle circostanze, dalla famiglia, dalle responsabilità. La sua era stata una vita ricca sì, ma faticosa. Quel senso di vuoto che provava nelle lussuose camere d’albergo e durante le lunghe e inutili riunioni di lavoro lo soffocava. Anche gli umori vaginali delle sue amanti, un tempo fonte di piacere assoluto, adesso sapevano di muffa. Ogni cosa che lo circondava era marcia e guasta. Voleva essere un uomo libero, unico padrone della sua vita. Almeno questo era ciò che si aspettava di trovare sulla sua isola.

Quando Arturo e la moglie tornarono a casa dopo la festa, lui le comunicò ciò che c’era da comunicare: il divorzio, la divisione dei beni, la piccola parte che aveva riservato a lei e il grosso del patrimonio che sarebbe stato diviso tra i figli. Anche le amanti deluse avrebbero avuto la loro parte. Lei non disse nulla, restò in silenzio per i due mesi successivi e firmò senza protestare ciò che c’era da firmare. Trent’anni insieme, pensava lei, trent’anni di compromessi e rinunce per un amore che era sfumato troppo presto. Lo aveva amato e odiato. Giovanissima e piena di bellezza si era concessa a lui senza riserve sacrificando le sue ambizioni. Per lui era diventata la moglie perfetta, il prezioso trofeo da esibire ai noiosi ricevimenti aziendali. La ricchezza le aveva permesso una vita agiata anche se la depressione aveva occupato buona parte del suo matrimonio (le mogli degli uomini d’affari sono spesso distillati di tristezza). E ora, alla soglia dei cinquant’anni, si sarebbe ritrovata sola e piena di rimorsi. Ma non pianse.

La decisone di Arturo provocò molti malumori nell’azienda e tra gli amici più intimi, ma lui non si curò di nessuno e continuò a vivere fiero e soddisfatto della sua decisione.

«Attento, — gli disse qualcuno, — scappare su un’isola non ti darà la felicità».
«Balle!» rispose lui. «La mia sarà una felicità sfrontata, quella che nessuno di voi riuscirà mai ad avere».
Sul suo viso, tondo come una palla da biliardo, gli si dipinse un’espressione nuova, un’espressione che nessuno aveva mai visto prima.

Compiaciuto dalle reazioni che aveva provocato si sentiva bello e invincibile. Le sue amanti, come aveva immaginato, chiesero il conto e passarono a riscuotere. Furono liquidate come solo lui sapeva fare. Una bella sommetta e anche il sesso va a farsi fottere come tutto il resto.

I due mesi annunciati da Arturo passarono in fretta. Partì senza salutare nessuno se non i figli. Da loro si aspettava gesti di disperazione e preghiere, cose del tipo “Pensaci papà, non ci abbandonare”, e poi lacrime e abbracci. Ma ciò che lui aveva immaginato non accadde. Fu fredda e insolita la sua partenza.

“Ma che importa, — si ripeteva, — io cercherò e comprerò la mia isola della felicità e avrò abbondanza di libertà e tempo, tanto tempo da consumare e da dedicare alle mie vere passioni”.
Partì senza alcun rimorso o senso di colpa.

La sua assenza fu presto dimenticata. La LUPÌCA & SOCI SPA, successo dopo successo, fu quotata in borsa, la moglie si risposò con un petroliere, i figli cancellarono ogni suo recapito dal cellulare e le amanti trovarono nuove fonti di piacere.
Arturo Lupìca continuò a vagare per il mondo e di lui presto si perse ogni traccia e ogni ricordo.
Certe storie sono amare come amaro è il risveglio dopo una grande bevuta.

©MimmaRapicano


Racconto pubblicato dalla rivista IlColophon – agosto 2018

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