Pagine scelte dalle MEMORIE di Balthus

È necessario ritornare al proprio passato, ma con leggerezza, come lo spuntare delle prime foglie a primavera lascia una sorta di tulle verde sui rami che si credevano morti. Della mia lunga esistenza ho conservato solo segni, segni di amicizia, di bontà, di gioia dinanzi a uno dei miei amici o a uno spettacolo che è riuscito a commuovermi. Ho avuto l’incomparabile fortuna di essere entrato in contatto con tutto ciò che costituiva allora il centro del mondo.

Balthus (Balthasar Kłossowski de Rola) 1908 – 2001

Conservo ricordi abbaglianti di alcuni artisti che ho incrociato e frequentato, sebbene abbia sempre teso a una certa solitudine. Così ricordo Albert Camus come uomo estremamente gentile; certo in lui ho sempre percepito angoscia e tormento, ma la sua bonomia e il suo largo sorriso facevano dimenticare questa parte oscura del suo essere.

Alla vigilia dell’incidente in cui perse la vita, mi inviò un suo libro – credo si trattasse della Caduta – con una dedica quasi premonitoria: «A te che fai delle primavere, ecco il mio inverno». Infatti, quella cupa luce che emanava dal suo sguardo, quelle malinconie improvvise, quei suoi accessi di angoscia, che avevo potuto notare durante il nostro lavoro comune per Lo stato d’assedio nel 1948, non avevano fatto che peggiorare nel corso degli anni. Lo si sentiva come divorato dalla vita, da qualcosa che non riusciva a dominare realmente e che lo angosciava con irresistibile forza. Conservo una profonda impressione di quel lavoro. È grazie a quel dramma, per cui ho disegnato scenari e costumi, che mi è stato possibile conoscere Paul Éluard, Jean-Louis Barrault, André Marlaux.

Albert Camus 1913 – 1960

Vivemmo momenti di grande intensità, che Albert Camus sapeva raccogliere e riunire. Aveva l’energia di un grande regista, conosceva l’arte di dirigere gli attori, d’essere il motore dell’azione. Sono rimasto sconvolto quando appresi la notizia della sua morte in quell’assurdo incidente stradale. Molti altri miei amici sono stati cancellati così dalla mia esistenza, ma ho serbato di loro indimenticabili ricordi. Per Camus, ad esempio, ero colui che sapeva «fare primavere». Ciò che amava nel mio lavoro era il mio costante accanimento nel trascrivere la bellezza, nel non lasciarmi sedurre dalle mode e dalle innovazioni rischiose.

La mia fiducia la riponevo nei miei amati italiani1, nell’unità rigorosa e splendida di Poussin, nel compimento di Coubert. Non si trattava certo di copiarli, ma di partire da loro, di giungere fino a loro per poi proseguire il cammino aperto, avanzare. Antonin Artaud che, pur considerandomi un fratello, era sovente spinto a odiarmi da ragioni psicologiche e persino psichiatriche, ebbe modo di dire che dipingevo «in primo luogo luci e forme». Non aveva affatto torto. Ho consacrato tutta la vita al raggiungimento di questa luce, quella sacra che irradia i crepuscoli e le albe, la luce dei primordi, la lattescenza che credo di aver raggiunto in Phalène, ad esempio, o in Jeune fille à la chemise blanche. Luce e forme non sono un’avventura divina, una divina traversata in alto mare? È forse per questo che ho privilegiato le montagne e le valli piuttosto che il mare, di cui ho realizzato solo rare descrizioni. Le cime sono quelle della mia giovinezza, i motivi della mia pittura interamente votata alla lode. Alla traversata delle luci.

Balthus, MEMORIE. Raccolte da Alain Vircondelet (Abscondita Editore)

La nostra vita è costellata di prove e di tensioni, ma anche di momenti indicibili di grazia che è necessario saper riconoscere: lezione di Bonnard, quella della felicità a cui ho sempre voluto tendere pur conoscendone le fughe e gli abbandoni. Come la scomparsa del primo figlio avuto dalla contessa Setsuko2, morto così piccolo nella luce all’improvviso dorata della camera turca di Villa Medici. La contessa ne ha serbato un ricordo sconvolgente, come di una rivelazione e di un’assunzione del nostro diletto figliolo in una luce radiosa. Forse è per questo che siamo così credenti, così ferventi, per la certezza della luce, per la sua rivelazione che mi ha così spesso invaso, e che volevo cogliere nell’abbagliamento.

Ecco perché dipingere è uno stato di grazia. Non si entra nella pittura impunemente. Bisogna esserne degni. Accettare l’ingiunzione sacra che costringe. E persino non si dovrebbe dire niente di sé. Sentire soltanto il rumore sordo, secco e al contempo morbido, del pennello sulla tela tesa come un tamburo, e avvicinarsi alla luce. È un’esigenza unica, insaziabile, tirannica. Mi è accaduto di ritornare sul soggetto, di ricominciare tutto da capo quando tutto sembrava perfetto, compiuto, e tutti attorno a me erano soddisfatti. È stato così per La chambre turque, così per la terza versione della Jeune fille au miroir, che dovetti ricominciare completamente perché il colore non teneva, cadeva a pezzi come se la luce non avesse invaso il quadro né lo avesse sostenuto…

Balthus

La strada – 1933-1935

A Rossinière3, l’esistenza che conduciamo è totalmente votata alla pittura. È la sola cosa che potevo vivere, questa accettazione della pittura, questo dono. Vi è qualcosa di monacale in questo rito. Ma è un rito aperto agli altri. Che gioia quando Philipe Noiret viene a farci visita o quando Bono, il cantante di un gruppo rock, gli U2 credo, ci porta la sua gioia di vivere, la sua esuberanza, la sua gentilezza! Conversione, tutto è conversione…

Balthus

Jeune fille à la chemise blanche 1955

Balthus

La Phalène 1959

Balthus

Pierre et Bettie Leyris 1932

Balthus

Thérèse 1938

Balthus

The King of Cats 1935


Note:

“Che cosa sarei divenuto senza i miei pellegrinaggi, quando, finito il mio lavoro subalterno, lasciavo la mia cameretta con vista su piazza Santa Croce a Firenze e mi recavo a Santa Maria del Carmine nella cappella di Masaccio? Che cosa sarei divenuto senza i miei soggiorni a Castiglione Olona per ammirare Masolino, ad Arezzo per copiare il mio diletto Piero della Francesca nella basilica di San Francesco, a Borgo San Sepolcro per tentare di comprendere la sapiente geometria della sua Risurrezione, a Siena dove ricordo pomeriggi interi passati a contemplare Simone Martini? E cosa sarei divenuto senza le mie lunghe soste dinanzi a Poussin, a Corot, a Coubert, a Cézanne, in cui ritrovavo la stessa ascesi, lo stesso disegno vibrante dei miei diletti toscani?” 

2Setsuko Ideta, seconda moglie di Balthus

3 Rossinière, in Svizzera è l’ultima dimora di Balthus

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