LA MISURA DEL TEMPO / Trentunesimo giorno
Alla ricerca di normalità un uomo tinteggia le pareti di casa, altri curano le piante, c’è chi ha messo sul balcone una sedia a sdraio, la mia vicina ha lavato i giubbotti invernali di tutta la famiglia. Rocco è indaffarato, sta sistemando delle pagliarelle per ombreggiare il suo terrazzo bazar. Da una radio in lontananza arriva l’eco di una canzone, i neomelodici impazzano soprattutto nell’ora del risveglio.
La ragazza con le trecce stende il suo esiguo bucato, forse è sola, non so, sembra carina vista da qui. Il ragazzo che abita di fronte innaffia un bonsai, fuma spesso e ascolta musica rock.
I divieti ci obbligano a stare lontani per sconfiggere, dicono, un virus venuto qui in vacanza. La noia e l’aria dolciastra scompiglia il senso delle cose e il tempo di oggi lo misuro con il tempo di ieri.
La misura del tempo è giocare a carte in famiglia, soffiare su candeline usate, rincorrersi attorno al tavolo, trovare riparo sotto al letto, giocare con la bambina dentro lo specchio, e sognare di entrarci in quello specchio. L’attesa sta diventando stanchezza.
La misura del tempo sono lacrime avvolte in intimi sudari. La Pasqua è vicina e le tradizioni non ammettono deroghe. Bisogna preparare dolci e torte salate, cucinare la minestra, comprare la ricotta salata, trovare le cozze per la zuppa del Giovedì Santo, i salami vanno appesi in cucina per gustarli il giorno della resurrezione.
La misura del tempo sono le gommose e zuccherose caramelle ciu ciu che compravo al negozio di coloniali proprio sotto casa, l’odore di caffè tostato in ogni stagione. E la bocca mi si scioglie al ricordo del sapore, mai più ritrovato, delle prussiane calde e croccanti della pasticceria all’angolo dove ora, invece, c’è un anonimo parrucchiere. La memoria si ravviva: entro nella salumeria di don Arturo, verso la piazza, rivedo la parete di piccoli cassetti di legno “Un tempo lì dentro c’era la pasta, si comprava sfusa e poi te la mettevano nella carta azzurrina” fu la spiegazione di mia madre.
La misura del tempo sprofonda ancora e arriva al cinema. La prima volta fu con Mary Poppins. Quel pomeriggio me lo ricordo, vivido e allegro, sedute sulle scomode sedie di legno a mangiare dei panini al formaggio. E dopo la proiezione l’immancabile gelato.
La mia misura del tempo è il banale desiderio di un gelato al pistacchio con uno spruzzo, piccolo, di panna montata, niente di più.
©MimmaRapicano_2020