UNO SCRITTORE
“La scrittura è la cura ma anche la malattia. E se non puoi farne a meno, significa che ne sei dipendente. E le dipendenze non sai mai dove ti portano”. V. T.
La scrittura come narcotico. Indispensabile, terapeutica. La dipendenza, un confine da oltrepassare. Andare oltre, calarsi nel sottosuolo, come uno speleologo, per stanare l’impossibilità del dire. A volte uno scrittore torna alla luce dal suo sottosuolo. Ma non vede la luce. Irrimediabilmente solo e consumato. Nella scrittura egli si espande e si contrae. Se va bene sfascia la propria esistenza, ma vive. Se va male non ha via di uscita.
Il suo stare fuori dagli schemi disorienta. Allora qualcuno gli chiede la resa, ma uno scrittore di siffatta genialità non può arrendersi. Protegge maldestramente sé stesso dagli sguardi asfittici di chi lo giudica, dagli obbedienti servitori.
A lato. Egli si posa a lato della quotidianità condivisa. A lato del gregge belante, dei nani senza voce che menano le mani per farsi spazio. Salire sul podio da vincitore. Chi vince, chi perde. La vita comunque se ne va. Forse la questione non è il valere o la gloria. Nel concreto, per un narratore la questione è saldarsi alla scrittura, sanguigna e purulenta. Sfilacciata. Slacciata dai consueti e maleodoranti cliché letterari.
Al principio uno scrittore immagina che il primo romanzo gli cambi la vita. Poi s’accorge che nulla cambia, nonostante sulle pagine ci sia il suo sofisticato bisogno di stare al mondo. Forse cerca approvazione, di madre e di padre. Le origini, incantesimo e fardello. O forse spera d’essere ripartorito da un’ombra di donna sottobanco. Rimesso al mondo già cadavere con il cuore di una stella fredda.
Spesso la casa di uno scrittore crolla. Inevitabile sciagura. Eroe e martire a difesa del suo credo. Ciò che resta sono i frammenti incompresi delle sue ossessioni, il vociare nebuloso sulle pagine che non scriverà.
E quando uno scrittore muore, i professionisti di lacrime e fraintendimento spezzano il pane in suo onore. Scrivono di lui, gli avvoltoi, pronti a saccheggiare le spoglie recise del novellista andato. Celare la sua essenza non è stato sufficiente. Non è stato abbastanza.
Uno scrittore è morto, signori, trafitto come un San Sebastiano. Eppure, dalla sua spenta allegrezza, odo l’ultima grottesca risata che si posa, lieve, sul collo di questa umanità in estinzione.
©MimmaRapicano_gennaio2022