MATERNITÀ
Molte delle cose che avrei voluto chiederle sono rimaste incollate sulle labbra. Le mie serrate nella vergogna, le sue socchiuse in un respiro ormai lontano.
Ho visto il vuoto nei suoi occhi, un pozzo senz’acqua, dove tra poco non potrò più specchiarmi. Ho pregato, ho abdicato, ho lasciato e ripreso le lacrime.
Ho capito che nulla riesce a consolare un cuore pesante e ad allontanare l’odore acre della morte. Il dolore ha un peso, ora lo so.
E penso che la maternità sia un pozzo nel quale anneghiamo l’immaterialità dell’esistenza. Un pozzo poco profondo al principio ma che diventa sempre più denso e irraggiungibile con il passare degli anni. La malta dei ricordi ricoprirà poco a poco le umide pareti e gli abbracci scivoleranno via senza farvi ritorno.
Arriveranno giorni che vorremmo coprirlo quel pozzo e dimenticarne il riflesso. Cercheremo altri pozzi per dissetare il nostro orgoglio, per inabissare il presente e rimpiangere le assenze future.
Credevo di essere forte e pensavo all’arresa come ultimo addio.
Sono tornata al mio pozzo, mi sporgo per vedere l’immagine dei giorni passati, ma più mi sporgo e più il nulla agguanta il mio braccio e lo stringe, implora, poi lascia la presa e ritorna in un posto per me inaccessibile.
Chi sono? Le domando. Come mi chiamo? Sollecito con insistenza il mio nome per ascoltare la sua voce che bacia quelle cinque lettere a noi così vicine. Quella che ci separa è una timida ‘i’ che cambia senso e significato alle nostre vite. Ma l’eco delle sue sillabe è sempre più distante. Lei è nel suo pozzo circondata da fantasmi mentre io resto fuori cercando di dare un senso alle sue ultime parole e liberare il mio dolore.
A mia madre.
©MimmaRapicano_2016