MAGARI UN GIORNO, CHISSÀ / Diciottesimo giorno

La stella luminosa è tornata al suo posto. Urra! Rocco, sfidando il freddo, il vento e la pioggia l’ha rimontata ieri pomeriggio. Ad osservare il suo faticoso lavoro, c’ero io e l’uomo compasso.
Il compasso è il soprannome dell’uomo che abita nell’appartamento al pianterreno di uno dei palazzi che, insieme al mio, s’affacciano su un ampio parcheggio. Parte del parcheggio è un’officina, una carrozzeria per la precisione. 

Insomma, un guazzabuglio di costruzioni di tufo e cemento, case su case, palazzi con cortili dentro altri cortili, fabbricati irregolari, spigolosi, alti, bassi, vecchi, nuovi, seminuovi. Un’orgia di voci, colori e volgarità.
L’uomo compasso è una persona tranquilla, mai un litigio con la moglie o una discussione con i vicini. E di litigi qui se ne sentono e se ne vedono parecchi.
Spesso sta sul balcone, con le gambe divaricate e le mani infilate nelle tasche della giacca da stanza. Resta per ore in quella posizione, visto da lontano sembra davvero un piccolo compasso.
Osserva con attenzione cosa accade nel suo cortile e oltre. Guarda in alto, in basso, di lato. Un giorno mi è sembrato guardasse nella mia direzione, dondolava il capo, forse un saluto, non so.
Quando la moglie lo raggiunge sul balcone lui estrae una mano dalla tasca della giacca da stanza e indica ora a destra ora a sinistra, probabilmente fa il resoconto di ciò che ha visto e sentito.
La moglie dell’uomo compasso indossa sempre una tutta dai colori sgargianti, sta sempre a fare le pulizie, lava il pavimento del balcone ogni giorno, i vetri delle finestre ogni due, mentre il bucato, nelle ultime settimane, lo stende anche due volte al giorno. Su quelle corde ci ho visto i teli da mare e pure dei costumi. Si prepara per l’estate, ho pensato, o forse presa dall’isteria svuota l’armadio e lava qualsiasi cosa. 

Un tempo, se volevo informazioni precise sulle persone che abitano in questo groviglio di vite ammassate, bastava che chiedessi a mia sorella.
Lei, nell’ordine aritmetico della mia famiglia, era la sorella numero uno, io sono il numero cinque. Mia sorella conosceva tanta gente, era una fonte inesauribile per tutta la famiglia. Ecco, oggi mi sarebbe stata d’aiuto per conoscere le ultime novità in fatto di pandemia, e avrebbe potuto raccontarmi aneddoti curiosi sul nostro quartiere. Invece.
L’ultimo ricordo che ho di lei è proprio sul balcone dove oggi giorno guardo la stella luminosa e le enormi bandiere tricolore. Il fumo di una sigaretta riempì le nostre chiacchiere.
Lei da quella parte e io da questa, non abbiamo più parole in comune ma soltanto un atroce silenzio. 

Magari un giorno, chissà.

©MimmaRapicano_2020

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