L’ULTIMO VALZER / Trentaseiesimo giorno

È lunedì dell’angelo, mattina presto, molto presto, preparo il solito caffè, prima del caffè bevo un bicchiere d’acqua, leggermente tiepida, dicono sia salutare, forse è l’unica cosa salutare che faccio in tutta la giornata. Ma dopo… dopo sistemerò ogni cosa.  

È arrivato come un giro di valzer questo nuovo giorno, mi piace. Apro il balcone lato strada e non c’è anima viva, dormono tutti, ma l’aria è frizzante, lieve. Nel cielo gli uccelli sono gli unici padroni, oltre al cinguettio nient’altro, c’è un tale silenzio che riesco a sentire il fruscio delle ali che fendono l’aria.
Sembra di stare in campagna, se chiudo gli occhi immagino un prato verde, papaveri e papere, alberi in fiore, profumo di lavanda. Però, se li riapro, vedo gli stessi palazzi, tufo e cemento, cemento e tufo, ma gli abitanti della città porosa, nonostante il carattere ribelle e allergico alle leggi, rispettano il divieto d’uscire e attendono nuove disposizioni.

Quindi, sono rinviate le scampagnate in riva al mare, i pic–nic alle pendici del Vesuvio, il vulcano per oggi è lasciato in pace, annullate le gite più lontane, verso laghi e boschi d’altre province.
Leggera e frizzante mi muovo a passo di valzer da una stanza all’altra, faccio una piroetta, un inchino. Attenta a non cadere! Rido. 

Nel cortile dei cortili, la numerosa famiglia del secondo piano ha deciso di pranzare sul balcone, hanno messo la tovaglia sul pavimento, si sono stesi al sole, la sabbia tra le dita è soltanto una rinuncia momentanea.

Anche io mi metto al sole, vorrei imitarli, stendermi sul pavimento ma indosso un maglione di lana, nero per giunta, e inizio a sudare. Rientro. Tutti i vicini le braccia le hanno già liberate, braccia cicciose, rotoli e rotolini sui fianchi, ma sono disinvolti, nessuno ne fa un problema. Tranne me.
Vabbè, piccola, torna a ballare il tuo valzer, alla dieta ci penserai domani, un due tre, un due tre, alza la mano, un piede avanti, l’altro indietro, pensa d’essere in due, gira, gira tante volte, e poi, un due tre, un due tre, e …zàcchete… arriva un ricordo, sepolto, dimenticato, lontanissimo da qui, lo ricaccio via, ma non vuole andarsene e …zàcchete… sono fritta. 

Gira piccola, gira, un due tre, un due tre, la musica è appena iniziata, lasciati andare.
Deglutisco, ma la memoria sale, s’arrampica, è veloce, mi raggiunge e … zàcchete… non c’è scampo. L’unico valzer che hai ballato con tuo padre, lo ricordi? Una sola volta nella vita, perché? Perché non s’è mai più ripetuto?
E come ballava bene mio padre, i suoi passi leggeri conducevano i miei. Nell’età di mezzo lui, adolescente io. E gira, piccola, gira fino a sfinirti e buttale giù e …zàcchete… ora sento le sue mani, dure e callose, stringere le mie in quell’unico valzer, e su e giù, ancora più forte, giriamo insieme, un due tre, un due tre, ancora e …zàcchete… indietro non si torna.  

Io tra le tue braccia e poi … zàcchete… quell’istante spensierato, venuto da lontano, si sovrappone alla paura e al dolore di un tempo recente e … zàcchete… tu torni piccolo tra le mie braccia e …zàcchete…  ti ho riportato a casa, ricordi?
Il tuo ultimo giorno, la nostra ultima ora, io e te, in ospedale e poi la corsa in ambulanza e …zàcchete… l’ultimo valzer ritorna e… un due tre, un due tre.
Ti ho sussurrato cose mai dette prima e …zàcchete… non aver paura, torniamo a casa, non mollare, resisti, resisti, quante volte in quell’ora t’ho ripetuto di resistere? Torniamo a casa e …zàcchete… le parole venivano fuori da sole, non sapevo più dov’ero, ma sapevo di dover riportarti a casa.
Ho urlato contro i medici, contro tutti, anche contro chi era spaventato più di me, mi dispiace, e …zàcchete… perché sei tornato proprio oggi? Vuoi ballare con me? 

E allora facciamo un altro giro di valzer, su e giù, un due tre, un due tre, un passo avanti, un passo indietro, le mani strette e poi …zàcchete… sei a casa… un due tre, un due tre. Siamo a casa. Io sono ancora qui.

©MimmaRapicano_2020

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