COPRITI
Anche quella notte era successo. Come la notte precedente e quella ancora prima. Si era svegliata all’improvviso con il viso tra le mani e il corpo madido di sudore.
«Ancora?» domandò lui.
«Sì, ancora incubi» rispose lei con la voce già piena di lacrime.
«Copriti con il lenzuolo» le disse.
Si guardarono e senza aggiungere altro lui le posò un bacio sulla guancia umida. Sapevano che ogni altra parola sarebbe stata superflua e imbarazzante. Si amarono in silenzio sul quel piano obliquo che era diventata la loro esistenza.
Se entravi nella loro vita assaporavi la perfezione di un rapporto a due cementato dall’amore e dalla reciproca stima. Tutti li ammiravano per la leggerezza e l’assoluta complicità della loro unione.
Lei si era ammalata della più subdola e invisibile malattia, quella che non si afferra con le mani e che nessun bisturi può estirpare. Un male che ruba ogni giorno un pezzo di entusiasmo, un granello di coscienza e che infine lascia solo un guscio vuoto e fragile come la porcellana. Lui l’amava ancora nonostante lei non fosse più quel variopinto aquilone che legava alla realtà la sua agitata esistenza.
Più volte, dopo gli evidenti segni della malattia, lei gli aveva urlato di andarsene, lo aveva allontanato svelandogli segreti inconfessabili certa della sua resa. Ma lui non si arrendeva, non si lasciava convincere e rimaneva al suo fianco.
Il mio compito è proteggerti, le diceva, qualsiasi cosa tu mi abbia detto o fatto io sarò qui fino alla fine perché tu sei il fiore che non appassirà mai nel mio giardino.
E la fine era lì, proprio dietro ogni respiro, e la malattia fu l’ospite inatteso che lasciarono entrare nel loro destino.
Passarono l’estate a leggere i romanzi e i racconti che lei aveva più amato. Qualcuno se lo fece rileggere anche due volte, ma a lui tutto ciò non pesava e scacciava senza lacrime il pensiero che quella sarebbe stata la loro ultima estate.
La pila di libri ai piedi del letto era diventata la loro trincea. Oltre quel muro di parole il caos, oltre le pagine quell’unica certezza che nessuno pronunciava. Urlava lei, urlava ogni volta che una di quelle bianche torri di carta crollava. Ma lui sapeva cosa dire per lenire la sua collera perché conosceva il peso delle parole e le usava meglio di chiunque altro. Lui era il suo unico amante e come Lancillotto aveva dichiarato eterna devozione alla sua Ginevra.
Gli incubi si ripetevano ogni notte e la visione di un tragico epilogo diventava sempre più nitida. Eppure le bastavano un lenzuolo e una tenera carezza tra i capelli per calmarla.
«Copriti», era questo che lui le diceva con la voce inzuppata di dolcezza cercando di celare il dolore che divorava anche il suo cuore. E lei si copriva e avvolgeva dentro quel lenzuolo il pensiero di lui, tutti i ricordi che avevano condiviso e tutte le chiacchiere e le risate e il tempo passato e il tempo presente.
Il lenzuolo divenne il bozzolo dentro cui sigillarono gli abbracci e i baci e dove avvolsero l’infantile speranza di eternità.
©MimmaRapicano-agosto2016