ATTRAVERSANDO IL BARDO – SGUARDI SULL’ALDILÀ, Franco Battiato
Viviamo spesso in deroga ai giorni che si susseguono veloci, siamo affannati, stanchi, delusi e sempre alla ricerca della felicità che non raggiungeremo mai nella sua pienezza. È rincorrere il nulla che ci rende infelici, voler afferrare sempre qualcosa che ci sta davanti, sempre a un passo da noi. Poi arriva quel giorno, quello che tutti noi cerchiamo smaniosamente di evitare, di rimuovere dalla mente ma che ci attende anche in una perfetta giornata di sole: la nostra morte.
Nella cultura occidentale teniamo questo pensiero lontano, come qualcosa che non ci appartiene. Ci sporgiamo dalla finestra dell’esistenza come giocosi arlecchini ciondolando sull’effimero pur di non imparare l’arte di morire.
Il film documentario di Franco Battiato “Attraversando il bardo — Sguardi sull’aldilà”, cerca di dare delle risposte a questo interrogativo: “Ci si può preparare a morire?”
Nel documentario si ascoltano varie testimonianze, Battiato mette a confronto la religione buddista e quella cristiana sul diverso approccio al fine vita. Ma non vi troveremo un contraddittorio perché qui la voce è una sola. Battiato crede alla disciplina buddista, alla reincarnazione, alla meditazione come unica possibilità di accettare la morte per trovare, finalmente, la pace interiore e l’armonia con l’universo.
Non è facile comprendere tutto quello che si ascolta nel film perché abbiamo in noi secoli di educazione grossolana che ci ha insegnato poco sull’aldilà. L’eternità, se esiste, è un concetto immateriale, è l’essenza della nostra anima che vaga di epoca in epoca come il povero Sisifo costretto a spingere il suo grosso masso fin sulla cima della montagna e poi farlo a ricadere giù, e ancora a riportarlo su.
Però io una cosa la vorrei imparare, la serena tranquillità e leggerezza della meditazione. Vorrei riuscire a mettermi in contatto con me stessa, sentirmi fino in fondo e non solo vedermi riflessa nello sguardo degli altri.
Domande, ecco cosa ci impone questo film documentario, porsi delle domande e prendere coscienza che la vita non è una perfetta formula matematica. Abbiamo ancora tanta strada da fare, molto inchiostro da grattare dai nostri libri sacri per capire e accettare che il nostro inizio è inevitabilmente la nostra fine.
Tra tutte le testimonianze presenti nel documentario quella del filosofo e saggista catanese Manlio Sgalambro mi è parsa la più critica e la più stimolante. Per lui la morte è quell’istante che non può essere percepito, è il vivere in uno spazio che lui chiama “amortalità” dove non è possibile sentirsi né mortali né immortali.
Ed è in questo intervallo che abbiamo la possibilità di porci le domande, uno spazio in cui riuscire a vivere consapevolmente il presente giocando serenamente a scacchi con la morte.
La mia morte è nel dominio dell’altro, non mio, la mia morte così fantasiosa quanto un racconto di fate. ‘La morte non è uguale per tutti’ si deve intendere nel senso più rigoroso. Non tutti muoiono, ma colui che non muore è chi non sa niente della propria morte. Solo l’ignorante, colui che vive inconsapevolmente, non sa infatti nemmeno di morire. Contrariamente a quanto afferma Spinosa, che solo il saggio ha l’esperienza dell’eternità, solo l’ignaro, invece, non muore.
(Arthur Schopenhauer)
Franco Battiato, ATTRAVERSANDO IL BARDO - SGUARDI SULL’ALDILÀ, Bompiani, Milano 2014