AL CASTELLO

È un sabato di luglio. Noi, coppia in vacanza, oggi evitiamo le spiagge affollate. Ne approfittiamo per visitare borghi lontani dal mare, sopra, sotto o in mezzo alle montagne. Apriamo la cartina, scegliamo a caso un puntino rosso sulla mappa e partiamo per raggiungere una croce o una torre merlata. 

Arriviamo al Castello, è mezzogiorno. Dalla chiesa che dà sulla piazza deserta esce un gruppo di gente in abiti eleganti. Un bambino è stato battezzato. Avvolto in uno scialle azzurro, l’infante è tra le braccia di una vecchia signora, supponiamo sia la madrina. Una donna indossa un lungo vestito di pizzo nero, fiorellini nei capelli. Un uomo, in completo blu e cravatta rossa, s’asciuga il sudore dalla fronte con un fazzoletto bianco. Il vento leggero non mitiga il caldo. Due fotografi seguono il piccolo corteo. 

Al Castello ci accoglie l’effige di un santo esposto dai balconi. È San Demetrio Martire nella sua armatura, una lancia in una mano e sul palmo dell’altra un angelo alato. Il borgo trasuda santità. 

Accanto alla chiesa c’è un ristorante-bar, entriamo. Modestino, il proprietario, ci fa accomodare a un tavolo ben distanziato dagli altri. La sala è poco illuminata, fresca, spartana, travi di legno al soffitto. Non siamo soli. L’oste è un uomo basso, calvo, sulla sua fronte noto un piccolo bozzolo. Ha una mascherina chirurgica sulla bocca, obbligatoria di questi tempi. Modestino è di poche parole ma gentile e ironico quanto basta. Compiliamo un modulo con le nostre generalità. Dobbiamo essere rintracciabili in caso di contagio. «È la legge che lo impone, ma pare siamo gli unici a farlo. Sulla costa, invece, nessuno lo fa», dice Modestino un po’ contrariato. Il cibo è genuino: verdure di stagione, pasta fatta in casa, formaggi e vino a chilometro zero. 

Arriva una coppia di escursionisti, zaino in spalla, scarpe da trekking, pantaloncini corti, maglietta di colore arancio. L’Oasi del WWF, a due passi dal borgo, attira turisti di specie protetta. Modestino si scioglie, diventa più loquace e sorridente, azzarda addirittura un complimento “per la bella donna”. La bella donna sarei io. Ridiamo, io di più. Dopo pranzo sediamo su panchine di pietra sotto un arco, l’antico ingresso al Castello. Due ragazzini ci passano accanto, salutano come se ci conoscessero da sempre. Sorpresi rispondiamo all’inaspettata gentilezza. Due ciclisti si fermano nella piazza, si guardano intorno poi siedono ai tavolini all’aperto del ristorante-bar di Modestino. Gli chiedono dell’acqua, due birre fresche, del prosciutto e qualche fetta di pane.

Prima di rimetterci in macchina, anche noi salutiamo tutti quelli che incontriamo per strada. Arrivederci. Io, istintivamente m’inchino al santo miroblita che mi sorride da un balcone.

©MimmaRapicano_2020


Racconto pubblicato dalla rivista Mirino lit-blog

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *